Il tema dell’immigrazione e della presenza di stranieri in Italia è oggi al centro della scena politica. Il prof. Roberto Impicciatore, esperto di demografia, racconta qual è stato l’andamento degli arrivi di stranieri nel nostro Paese e spiega come si può prevedere il futuro dei flussi migratori.
Roberto Impicciatore è Professore Associato in Demografia presso il Dipartimento di Scienze Statistiche “P. Fortunati” dell'Università di Bologna. È vicepresidente dell'Associazione Neodemos (www.neodemos.info), membro del comitato editoriale della rivista Polis e del Faculty Board del Dottorato in Economic Sociology and Labour Studies (ESLS-NASP), Università di Milano. Gli interessi di ricerca riguardano principalmente la mobilità interna e internazionale e interna, i processi di integrazione delle famiglie immigrate e i percorsi di vita dei giovani in Europa.
La situazione in Italia ha invertito rotta negli anni ’70, quando il nostro Paese è passato dall’essere un Paese di emigrazione a diventare un Paese di immigrazione. Il grande incremento dei flussi migratori verso l’Italia avviene a partire dagli anni ’90, quando si assiste a una crescita che arriva fino agli anni della crisi economica, con un aumento degli arrivi e, ovviamente, un conseguente aumento della popolazione straniera in Italia. Nel corso degli anni ci sono stati alcuni picchi legati a vari decreti, sanatorie, ma sostanzialmente l’andamento è stato fortemente crescente e, fra l’altro, quella italiana è stata una delle crescite più rapide osservate in Europa. In Italia si è arrivati a toccare picchi di 400-500 mila arrivi all’anno.
Con gli anni della crisi si è registrata una diminuzione, piuttosto netta e repentina, del numero di arrivi. Negli stessi anni si è intanto assistito a un incremento delle partenze dal nostro Paese, soprattutto di italiani. Ne segue un sostanziale ridimensionamento dei saldi migratori (differenza tra arrivi e partenze) che tornano ad essere quelli dell’inizio degli anni ’90. Negli ultimissimi anni, a partire dal 2015, c’è stata una leggera ripresa degli arrivi, ma si rimane comunque su livelli più contenuti rispetto agli anni pre-crisi con saldi ben al di sotto delle 200 mila unità l’anno.
Visti questi numeri non è possibile parlare di “emergenza di arrivi”, anzi paradossalmente gli anni del vero boom sono stati quelli in cui si parlava meno di immigrazione, e quando invece è partita l’emergenza a livello politico i flussi sono nettamente diminuiti, arrivando anche a dimezzarsi. È altrettanto vero che, quando negli ultimi anni si è assistito a una riduzione molto importante di arrivi di stranieri in Italia, si è anche verificato il maggior numero di sbarchi. Per quanto riguarda gli sbarchi, vi è stato un leggero picco nel 2011 come conseguenza della Primavera Araba e, fra il 2014 e il 2017, c’è stata una maggiore incidenza di sbarchi, che comunque hanno rappresentato una netta minoranza nel fenomeno migratorio italiano complessivo. Gli sbarchi sulle nostre coste hanno un impatto visivo molto forte e negli ultimi anni si sono accompagnati con una grande visibilità mediatica, innestando la comparsa massiccia del tema dell’immigrazione nei programmi politici.
Bisogna però sottolineare, e questo è un fatto abbastanza noto, che nel 2018 c’è stata una riduzione fortissima degli sbarchi e nei primi mesi di quest’anno stanno continuando a mantenersi su livelli bassi. Una caratteristica del nostro Paese in fatto di immigrazione, che oggi si sta ripresentando fortemente, è di avere sul proprio territorio un insieme di richiedenti asilo piuttosto limitato, a differenza di altri Stati europei dove invece la quota dei richiedenti asilo è sempre quella più alta.
In senso assoluto si tende a pensare che ci sia un’invasione dall’Africa, ma la realtà è molto diversa. La quota di stranieri in Italia indica che la stragrande maggioranza di essi proviene dai Paesi dell’Est Europa, infatti la prima cittadinanza fra gli stranieri è quella rumena. Dopo la Romania, gli altri due principali Stati di provenienza sono l’Albania e il Marocco. La quota dei cittadini africani presenti sul suolo italiano è circa un quinto della popolazione straniera nel complesso e, in generale, tra i primi Paesi di arrivi, quelli africani sono pochissimo rappresentati.
Negli ultimi anni il grosso degli arrivi è giunto appunto dall’Est Europa. Se però si guarda agli sbarchi, allora questi partono principalmente da Paesi africani. Il punto centrale è che coloro che arrivano in Italia attraversando il Mar Mediterraneo sono migranti forzati, quindi legati a motivi umanitari; mentre la gran parte della migrazione verso l’Italia è, ed è stata anche in passato, una migrazione di tipo economico, quindi una migrazione volontaria.
In campo migratorio è difficile fare previsioni: il fenomeno demografico è sicuramente il più difficile da prevedere. Ci sono tuttavia alcuni elementi con cui tentare alcune ipotesi per il futuro.
Ad oggi il grosso degli arrivi dai Paesi dell’Est Europa è fortemente diminuito. Dai Paesi Africani c’è una possibile pressione migratoria, soprattutto perché il continente ha una demografia particolarmente giovane e soprattutto perché molti Paesi stanno attraversando una fase di sviluppo economico.
Sul fenomeno migratorio si tende spesso a pensare che la principale motivazione che spinge le persone a spostarsi sia la povertà, pensando dunque che il numero maggiore di immigrati arrivi dai Paesi più poveri. La realtà però è che la migrazione si avvia quando c’è già uno sviluppo economico; i Paesi più poveri non hanno infatti flussi migratori in uscita. L’emigrazione si verifica quando nei territori poveri si avvia un certo sviluppo economico, quando nasce la necessità di finanziare anche le attività locali.
Da questo principio teorico si possono trarre alcune ipotesi attendibili sui prossimi anni. Gli Stati africani che stanno avendo ora uno sviluppo economico potrebbero diventare Paesi di emigrazione, anche quelli che al momento non hanno grossi flussi in uscita. Ci si aspetta dunque dei flussi migratori piuttosto intensi. Comunque, non è detto che tali flussi si dirigano verso l’Europa, né tantomeno verso l’Italia: in Africa la quota più rilevante della migrazione avverrà probabilmente all’interno dello stesso continente ed è inoltre molto probabile che sarà diretta verso continenti diversi dall’Europa, in particolar modo verso l’Asia. Questa previsione nasce anche dagli ingenti investimenti che gli Stati asiatici, la Cina in particolare, stanno perpetuando in Africa: da queste operazioni derivano, e deriveranno sempre di più, dei legami fra Paesi per la fornitura di manodopera. L’Europa nel futuro non sarà più l’unica destinazione di arrivo, per questo è necessario uscire dalla diffusa visione eurocentrica, o italocentrica. L’Italia infatti non è, come dimostrano le indagini, il luogo che tutti i migranti desiderano; soprattutto i migranti forzati, nella maggioranza dei casi, una volta arrivati in Italia vogliono poi spostarsi in altre nazioni europee.
Nel futuro l’immigrazione continuerà ovviamente ad esserci perché questa è un fatto che accompagna da sempre l’essere umano: l’immigrazione d’altronde è un fattore importante tanto quanto può esserlo il commercio. Sul fenomeno migratorio si dovrebbe tentare la riduzione della migrazione forzata, intervenendo su quei fattori che la producono; ma la migrazione volontaria, quella per motivi economici, non può e non deve essere bloccata perché costituisce la possibilità per le persone di sfruttare le proprie competenze, il proprio capitale umano nel miglior modo possibile. Bloccare le migrazioni vuol dire bloccare la possibilità di poter compiere ascese sociali, o almeno di poter ambire a compierle.
Per concludere, si può prevedere che ci saranno flussi migratori ancora intensi, ma questi non saranno necessariamente rivolti verso le nostre coste. Le previsioni dell’ISTAT indicano che verosimilmente nel futuro ci sarà una stabilizzazione del flusso intorno ai 200-300 mila arrivi all’anno.
Credo che la modifica più rilevante avvenuta in seguito al Decreto Sicurezza riguardi la riconfigurazione del sistema SPRAR. Fino all’introduzione delle nuove disposizioni, il numero dei Comuni coinvolti nel sistema stava crescendo in maniera esponenziale e si stava instaurando in moltissimi territori italiani un sistema funzionante ed efficace. Il cosiddetto Decreto Salvini non elimina gli SPRAR ma di fatto va a ridurre completamente l’utenza. In questa Legge tutto sembra essere pensato per non investire su coloro a cui effettivamente non verrà concesso lo status di rifugiato. Esempio di questo è il divieto di lavorare durante il periodo di attesa per la risposta sulla domanda di asilo; questo dimostra una volontà di evitare una possibile integrazione. Il sistema creato con queste nuove norme in materia di immigrazione molto probabilmente aumenterà la quota di persone irregolari che resteranno sul territorio italiano.
Il Decreto Salvini si concentra sui migranti forzati, cioè su quelle persone che tendono a migrare perché costrette, mentre lascia un vuoto sulla parte più corposa, che è invece quella costituita dalla migrazione volontaria. Nel sistema di accoglienza italiano ci sono meno di 200 mila persone ma in Italia ci sono più di 7 milioni di persone con origine straniera, quindi si parla veramente nel complesso di una quota molto piccola. La manovra va ad agire su questa quota creando però delle condizioni per complicare sempre di più la vita a queste persone.
Questo è un tipo di manovra che sembrerebbe creare i presupposti per far avvertire meno la sicurezza, perché avere, per forza di cosa, le strade con più persone che non riescono a integrarsi, perché rimangono in una situazione di irregolarità, potrebbe far aumentare la percezione di insicurezza, e c’è il forte indizio che questo sia il frutto di un disegno politico.