I tanti stranieri stanziati nelle aree montane del nostro Paese stanno contribuendo alla rinascita di comunità e territori, tenendo in piedi settori dell’economia e riempiendo degli spazi lasciati vuoti dagli italiani. In questi luoghi sono nati e si sono sviluppate iniziative e progetti che con le nuove norme in materia di immigrazione rischiano di indebolirsi o scomparire. Il prof. Andrea Membretti ci racconta in questa intervista la condizione di questi “nuovi montanari” e alcune previsioni sul loro futuro.

Andrea Membretti

Andrea Membretti, sociologo, insegna Sociologia del Territorio all'Università di Pavia ed è Senior Researcher presso EURAC Research (Bolzano). Coordinatore delle rete internazionale ForAlps (Foreign immigration in the Alps) e socio dell'associazione Dislivelli. Si occupa di neo popolamento e fenomeni migratori nelle aree montane europee ed extra europee.

In che cosa consiste il network ForAlps? Quali sono le sue caratteristiche e le sua finalità?

ForAlps, che sta per Foreign immigration in the Alps (Immigrazione straniera nelle Alpi – www.foralps.eu), è una rete di soggetti che da qualche anno si occupa di studiare la presenza migratoria nelle aree montane, in particolare alpine, considerando sia la presenza di migranti economici sia di richiedenti asilo e rifugiati.

Nel network converge un gruppo di lavoro trasversale di professori e ricercatori di varie discipline, dalla sociologia all’economia, dalla geografia alle scienze politiche. Inoltre, fanno parte della rete ForAlps anche persone che direttamente operano nel settore dell’integrazione e dell’accoglienza a stranieri, come direttori di CAS, SPRAR, referenti di associazioni e anche giornalisti che si occupano di questo tema.

La ricerca e le riflessioni del network riguardano due popolazioni di migranti distinte: da una parte i migranti economici, per i quali non si può parlare di progetti di accoglienza, e dall’altra i rifugiati e i richiedenti asilo. Il fenomeno della presenza straniera in montagna, sia nelle zone alpine che appenniniche, esiste ed è importante già da almeno 20 anni.

Negli ultimi 4-5 anni il dibattito intorno al fenomeno migratorio nel nostro Paese credo sia stato totalmente viziato dall’aver focalizzato l’attenzione sulla cosiddetta “emergenza migratoria”. La realtà dei numeri ci indica che in Italia si ha a che fare, non con un’emergenza, ma con un fenomeno strutturale di presenza straniera.

Nell’arco alpino italiano ci sono oggi quasi 400 mila residenti stranieri regolari (esclusi i richiedenti asilo e rifugiati), e questi sono inseriti in attività lavorative, hanno la casa, hanno fatto il ricongiungimento familiare e si sono inseriti nella comunità. Questi stranieri non c’entrano nulla con le politiche di accoglienza perché non sono mai stati oggetto di politiche di inclusione mirate; ci sono, sì, state politiche migratorie che hanno interessato anche gli stranieri in aree montane, ma non c’è mai stato un riflettore puntato su tali persone. Il network ForAlps, anche insieme all’associazione Dislivelli, ha iniziato a occuparsi proprio di questo.

I dati del 2018 sulla presenza di immigrati stranieri regolari nelle aree montane e nelle aree interne di tutto il Paese (elaborati da EURAC Research) indicano che sono presenti circa un milione e mezzo di persone in zone montane (Alpi e Appennini) e aree interne di tutta Italia; di questi ben 400 mila si trovano appunto nell’arco alpino. Proprio considerando questi dati vogliamo portare l’attenzione sul fatto che l’immigrazione, come dicevo, è un fenomeno strutturale che non riguarda solo i grandi centri urbani e le aree metropolitane. In questo senso, negli anni non ci sono state politiche atte a favorire la permanenza e l’attrattività delle aree montane rispetto agli immigrati.

Quali sono i risultati delle vostre ricerche? Qual è la situazione dei migranti nelle zone montane del Paese?

Gli immigrati stranieri presenti nelle zone interne sono arrivati in questi territori per varie ragioni, e per varie ragioni hanno deciso di rimanervi. Abbiamo dunque voluto analizzare sia i pull-factor, i fattori di attrazione, sia i push-factor, ovvero i motivi che hanno spinto i migranti a lasciare le città per le aree montane. Una delle ragioni trainanti è la presenza di occasioni lavorative di nicchia lasciate scoperte dalla popolazione italiana, come ad esempio il settore agro-silvo-pastorale, l’edilizia tradizionale, la cura degli anziani, la manutenzione dei boschi ecc. Tutti questi settori hanno offerto, già dagli anni ’90, ampi spazi per la presenza di lavoratori stranieri immigrati. Un altro importante fattore di attrazione è stato quello immobiliare: la presenza di immobili a basso costo, di seconde case sfitte in località montane minori, di case abbandonate nei centri storici, hanno reso in generale accessibile il mercato degli affitti.

Poi, anche se è un fattore che molto spesso non viene considerato, c’è anche il fatto che molti immigrati hanno manifestato nel tempo un disagio nei confronti della vita metropolitana, simile a quella provata da molti cittadini italiani. Questo fatto può sembrare strano, perché si pensa che gli immigrati siano mossi esclusivamente dalla ricerca di condizioni di vita migliori dal punto di vista economico. La rete ForAlps, insieme all’associazione Dislivelli, ha condotto una serie di interviste qualitative, dalle quali è emerso invece che tanti stranieri, a parità di condizioni economiche, preferissero trasferirsi in zone rurali e in zone montane perché avevano la possibilità di far crescere i figli in ambienti migliori, di vivere in una comunità più ristretta, di disporre di più spazio per vivere, la casa ecc.

Negli ultimi anni si è inoltre assistito all’arrivo di quelli che abbiamo chiamato “montanari per forza”, ovvero persone che non hanno avuto libertà di scelta sul fatto di vivere in montagna, ma che per le politiche di ricollocamento decise dai Governi precedenti di dispersione sul territorio, sono state collocate in queste zone, o attirate dalla costituzione degli SPRAR. Fra il 2015 e il 2017 sono stati spostati numeri significativi di persone dalle città verso le aree montane interne, in parte costituendo i CAS e in parte perché in montagna si sono cominciati a produrre dei progetti di accoglienza SPRAR che si sono rivelati molto interessanti. A proposito degli SPRAR, io credo che all’inizio la logica fosse di utilizzare questi “spazi vuoti”, questa rarefazione socio-abitativa e ambientale delle aree montane di molte parti d’Italia per mettervi delle persone che altrove non si volevano ospitare. C’è stato allora l’utilizzo di alberghi abbandonati, colonie, caserme, bunker, appartamenti della curia ecc. Questa operazione è sembrata essere un modo per togliere dalle città grandi masse di persone, spostandole dai centri di accoglienza più ampi per metterle così in un cono d’ombra rispetto alla visibilità mediatica. L’immigrazione d’altronde è sempre stata, negli ultimi anni, oggetto di questi tipi di intervento ed è quindi molto esposta a retoriche, politiche, necessità, volontà di conseguire un consenso in un modo o nell’altro.

Concludendo su questo punto, la presenza straniera in montagna è molto importante perché tiene in piedi interi settori dell’economia, riempiendo degli spazi lasciati vuoti dagli italiani. In questi territori non c’è un effetto di sostituzione, ma c’è piuttosto una situazione di tendenziale integrazione, un “incontro” degli stranieri con la popolazione autoctona, anche se non sempre immediato e non privo a volte di tensioni.

Come sono stati accolti gli stranieri sul territorio? Qual è stata la reazione dei Comuni e delle comunità locali? Quali gli effetti?

Nel 2016-2017 oltre il 40% dei migranti richiedenti asilo e rifugiati, ospitati in CAS e soprattutto SPRAR, si trovavano in aree montane appenniniche e alpine, come abbiamo discusso nel volume Montanari per forza, appena pubblicato. Nella logica emergenziale si è approfittato degli spazi vuoti della montagna per inserirvi un elevato numero di stranieri, e comunità “deboli” si sono trovate in qualche modo forzate a ospitarli. In breve tempo, però, molti Comuni montani sono stati in grado di capire che l’accoglienza degli immigrati poteva essere non un fattore di business, come in alcuni casi è stato e non ha funzionato, ma di rivitalizzazione dei territori. Le amministrazioni locali hanno capito che potevano fare leva sull’accoglienza dei migranti per attrarre risorse economiche, attenzione mediatico-politica, risorse dal punto di vista demografico, possibilità per mantenere attivi i servizi locali (come ad esempio trasporti, uffici e in generale i servizi essenziali). Prima del Decreto i richiedenti asilo erano iscritti all’anagrafe dei Comuni, e questo aumentava in maniera consistente la popolazione residente.

ForAlps ha mappato molti progetti dove la presenza straniera ha costituito il volano di alcune esperienze interessanti. Gli immigrati sono stati inseriti in percorsi di formazione legati alle tipicità locali e hanno dato corpo a varie iniziative di valore (ad esempio nel territorio del Monviso volontari provenienti dai CAS e dagli SPRAR sono stati impiegati per la manutenzione dei sentieri, il ripristino delle condizioni di percorribilità dei boschi ecc.). Con alcuni dei progetti realizzati si sono create delle microeconomie locali, e in alcuni di questi casi il Comune è riuscito a uscire da situazioni di crisi economica.

Quindi, arrivando all’oggi, il Decreto Sicurezza e Immigrazione, il cui scopo primo era appunto intervenire sulla sicurezza, paradossalmente è andato a colpire più significativamente quei luoghi dove l’accoglienza di migranti era fortemente sicura dal punto di vista dei parametri del controllo sociale. Nelle località rurali e montane, infatti, le comunità sono coese e l’inserimento di 20/30 persone nelle maglie della comunità rimane controllata: si tratta di persone che difficilmente possono finire nel giro della delinquenza o essere percepite come una minaccia.

In che modo le politiche sulla sicurezza, l’immigrazione e l’accoglienza hanno modificato il fenomeno della presenza di stranieri in zone rurali e interne del Paese?

Come dicevo, nelle aree montane del Paese sono presenti circa un milione e mezzo di persone e questi non sono che in minima parte richiedenti asilo e rifugiati. Si deve considerare, andando oltre i proclami roboanti della politica nazionale, che quel milione e mezzo di persone sono stanziate stabilmente e da tempo in queste zone, che la gran parte ha regolari permessi di soggiorno per motivi di lavoro, che molti hanno fatto il ricongiungimento familiare, e che quindi queste persone ben difficilmente verranno spostate da qualcuno o da qualche normativa. Piuttosto, gli immigrati saranno liberi di abbandonare la montagna, ove non ci fossero piú le condizioni per restarci.

In questi contesti, il Decreto crea peró un clima socio-culturale non favorevole agli stranieri: la normativa influisce inevitabilmente sul modo di rappresentare gli immigrati. Pur essendo in molti casi persone che contribuiscono a tenere in piedi l’economia dell’Italia in tanti settori, specialmente in montagna, la Legge le rappresenta come un tutto indistinto: dall’irregolare che è arrivato per mare a chi ha il permesso di soggiorno perché lavora nel nostro Paese da anni, tutti vengono messi sullo stesso piano di soggetti indesiderati o indesiderabili. Tutti i migranti che vivono la montagna italiana potranno da oggi essere etichettati come soggetti poco o per nulla graditi. E quindi potranno essere spinti di fatto a lasciare non solo le Alpi e gli Appennini, ma anche il nostro Paese, verso altri contesti in cui siano maggiormente tutelati.

Quali previsioni ci sono sul futuro viste le modifiche che il Decreto Sicurezza ha introdotto?

Rispetto alla presenza dei migranti forzati – quelli che ho definito “montanari per forza” – già in queste settimane stiamo assistendo a una contrazione del loro numero nelle aree interne e montane. La prospettiva è che diminuiranno sempre di più: la nuova normativa prevede che rimangano solamente coloro che hanno avuto riconosciuto lo status (oggi ristretto, vista l’eliminazione della protezione umanitaria) di protezione internazionale.

L’impatto sarà allora molto negativo su territori che erano già colpiti da una forte crisi economico-demografica, e che negli ultimi anni avevano visto un fiorire di progetti SPRAR che avevano avuto un impatto positivo sul territorio.

D’altra parte, il Decreto penalizza i contesti di accoglienza minori in vari modi: il taglio dei fondi a persona, da 35 a 20 euro al giorno, favorisce il costituirsi di grandi centri di accoglienza (di solito urbani) a discapito di quelli presenti nei territori di cui abbiamo parlato, e la trasformazione degli SPRAR in SIPROIMI riduce drasticamente la presenza di richiedenti asilo in montagna. L’effetto è dunque di un’aggregazione al ribasso che porterà alla conseguenza di poche realtà a livello nazionale che gestiranno tutto. Tra l’altro, il taglio dei fondi ha effetto su tutte le attività di cui si diceva, dai laboratori artigianali ai corsi per la manutenzione dei sentieri o il taglio del bosco, dalle attività culturali con la popolazione locale alla mediazione culturale. E, ancora, comporta la chiusura di tutta una serie di esperienze che in questi luoghi hanno creato posti di lavoro e una micro-imprenditorialità sociale.

Tuttavia non voglio essere pessimista sul futuro: le comunitá locali hanno avuto occasione in questi anni di accoglienza degli stranieri – specialmente con i progetti SPRAR – di sviluppare competenze e know-how, di ragionare in modo innovativo sulle proprie traiettorie di sviluppo, di costruire reti di relazioni tra soggetti interessati alla sopravvivenza dei propri territori. Hanno capito che è necessario aprirsi all’esterno, confrontarsi con i flussi della globalizzazione, attrarre risorse, in primis umane, per contrastare l’isolamento e la periferizzazione della montagna. I frutti di queste esperienze di apprendimento locale credo che si potranno ancora e maggiormente cogliere nei prossimi anni, anche in presenza di un quadro normativo nei fatti ostile.

Le pubblicazioni per approfondire:
  • Montanari per forza. Rifugiati e richiedenti asilo nella montagna italiana, di Dematteis M., Di Gioia A. e Membretti A., ed. F. Angeli, 2018
  • Per scelta o per forza. L’immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini, a cura di Membretti A., Kofler I. e Viazzo P.P., ed. Aracne, 2017
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